Paco, se prendessimo la "poetica" generale di un architetto, faremo il solito polpettone fra poesia e arti plastiche, in cui ognuna delle 2 arti se ne sta pacificamente a casa sua parlando amichevolmente con la vicina dalla finestra della cucina (beccati anche la rima
). Essendo le arti plastiche arti che lavorano sulla materia, ed in particolare l'architettura un arte che lavora sullo spazio per umanizzarlo, ha più senso (sebbene sia più difficile e sia stato più raramente tentato) lavorare su un'architettura concreta, foss'anche un cesso, piuttosto che dematerializzare tutto e scriverci sopra un pensierino. Per procedere concretamente ho pensato questo: scegliamo prima di tutto un architettura specifica, anche una stanza (è molto più difficile affrontare un complesso), poi dobbiamo pensarci dentro a quella stanza e pensare come quella stanza ci intima di pensare (di certo non pensi alla gloria romana all'interno del suo Gymnasium), successivamente metterci davanti al foglio e guardarlo come uno spazio architettonico sgombro, che và eretto utilizzando le parole come materiali da costruzione, poiché anche la parola è materia che si rapporta con lo spazio. Per questo esperimento più che altrove è fondamentale la parte di fantasia formale, come la disposizione del verso, la forma e le dimensioni dei caratteri, il loro giocare con gli spazi bianchi del foglio. Se vuoi un esempio, cerca "Il ponte" di Apollinaire, oppure le poesie-oggetto del gruppo '70.
In ultimo, non è che mi aspetto un capolavoro da questo primo lavoro, però a mio avviso -se ben condotto- ci permetterà di liberarci di alcuni schemi mentali obsoleti e a guardare in altro modo il foglio... sarebbe già moltissimo. ave